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FAQ su sordità e LIS

La sordità è la riduzione più o meno grave dell’udito.

Dal punto di vista clinico si distinguono diversi gradi di sordità diversamente correlati alla possibilità di percepire i suoni linguistici e di sfruttare i residui acustici attraverso l’uso delle protesi. In base ad una convenzione stabilita dal Bureau International d’Audiophonologie si distinguono quattro gradi di sordità in base al grado di perdita uditiva espresso in decibel (db):

  • sordità lieve: con una perdita uditiva compresa fra 20 e 40 db;
  • sordità media: con una perdita uditiva compresa fra 40 e 70 db;
  • sordità grave: con una perdita uditiva compresa fra 70 e 90 db;
  • sordità profonda: con una perdita uditiva uguale o superiore a 90 db.

Ulteriori distinzioni vengono operate nell’ambito della sordità profonda:

  • 1° gruppo – sordità con curva pantonale che abbraccia tutte le frequenze fra i 125 e i 4000 Hertz all’intensità di 90 decibel;
  • 2° gruppo – sordità con curva dai 125 ai 2000 Hertz all’intensità uguale o maggiore di 90 decibel;
  • 3°gruppo – sordità con curva detta a virgola dai 125 ai 1000 Hertz a intensità maggiore di 90 decibel.

In generale si può affermare che una perdita uditiva oltre i 90 db impedisca, anche con l’ausilio delle protesi, una corretta percezione delle parole (Favia, Maragna, 1995).

Le cause della sordità sono ancora oggi uno degli aspetti meno chiari della diagnosi: questa incertezza è determinata dalla varietà di fattori che possono causare la sordità. Le cause possono comunque essere distinte in due grandi aree:

  • le sordità congenite (insorte prima della nascita, cioè prenatali, o insorte dopo la nascita, ovvero postnatali, in quanto sordità genetiche progressive);
  • le sordità acquisite (insorte al momento della nascita, cioè perinatali o neonatali, oppure in seguito alla nascita, cioè postnatali).
  • Sordità prenatali:

ereditarie: non si manifestano necessariamente alla nascita, infatti, in alcuni casi, sono di natura progressiva, ovvero la perdita uditiva peggiora con il passare del tempo.

– acquisite: malformazioni congenite, malformazioni tossiche (farmaci, tossici endogeni), malformazioni endocrine -dismetaboliche (diabete, ipotiroidismo), malformazioni infettive (sifilide, toxoplasmosi, virali).

  • Sordità perinatali: traumi ostetrici, ittero, ipossia, prematurità, anossia.
  • Sordità postnatali: sordità ereditarie e genetiche progressive, traumi cranici, malattie infettive (otite media, meningite, encefalite, parotite, morbillo, toxoplasmosi), intossicazioni da farmaci, malattie dell’orecchio medio (perforazione della membrana timpanica, otosclerosi).

La percentuale di bambini che nascono sordi o lo diventano prima di imparare il linguaggio è 1/1000 e la sordità ereditaria sembra rappresentare circa il 50% dei casi, anche se all’interno di questa vanno distinti due gruppi: le sordità non sindromiche recessive, cioè non associate ad altre patologie (70% dei casi) e le sordità sindromiche legate a specifiche patologie di cui la perdita dell’udito è solo uno dei sintomi (30% dei casi).

Oltre al grado, alle cause e all’età in cui insorge la sordità, vi sono altri fattori che la rendono un fenomeno molto eterogeneo. Uno di questi è l’età della prima diagnosi: in Italia, fino a pochi anni fa, l’età media della prima diagnosi variava dai 19 ai 36 mesi (Maragna 2000). Oggi, grazie allo screening neonatale inserito dal 2017 nei LEA (livelli essenziali di assistenza), la maggior parte delle diagnosi, in tutta Italia, avvengono alla nascita. Il problema della diagnosi vale soprattutto per le famiglie udenti per le quali la sordità non è un evento atteso o prevedibile e che quindi può rimanere nascosto fino a quando non si manifestano i primi segnali di un ritardo linguistico (Caselli et al., 1994). Sempre per queste famiglie si è vista inoltre l’importanza del modo in cui viene comunicata la notizia di sordità del figlio dal personale medico, se il bambino è primogenito o meno, la personalità dei genitori, l’unità di coppia e il sostegno della famiglia allargata.

Un altro fattore che rende la sordità un fenomeno eterogeneo è l’età della protesizzazione: le protesi sono dei dispositivi di amplificazione che consentono di sfruttare, in misura minore o maggiore a seconda del grado di sordità, i cosiddetti residui acustici nell’ambito di un processo educativo. Le protesi più moderne sono di tipo digitale ovvero possono essere regolate in modo più preciso, possono ridurre i rumori di fondo, offrono una maggiore fedeltà nella riproduzione del suono e hanno un microfono direzionale che diminuisce i fastidi dovuti a suoni troppo intensi perché aumenta la selettività spaziale dell’ascolto. Oggi si tende a protesizzare sin dai primi mesi di vita (4-6 mesi) perché il periodo di maggiore plasticità cerebrale è da 0 a 3 anni, con un picco intorno all’anno e mezzo. I residui sono utilizzabili per avere accesso alla lingua parlata quando la perdita uditiva non supera gli 85 db. Circa l’uso delle protesi nei casi di sordità profonda esistono posizioni teoriche contrastanti (Favia, Maragna, 1995). La protesizzazione costituisce una tappa importante nella vita di una persona sorda e le sue implicazioni vanno ben al di là degli aspetti medici. Infatti, diversi fattori, tra cui quelli di tipo psicologico, contribuiscono al successo e all’insuccesso della protesizzazione.

Oltre alle protesi tradizionali c’è oggi anche la possibilità dell’impianto cocleare. “L’impianto cocleare è una protesi semi-impiantabile che sostituisce la funzione della coclea quando questa non è più sufficiente per una efficace amplificazione. Il processore svolge la funzione di codificare i suoni captati dall’ambiente esterno e di trasmetterli alla componente interna sotto forma di stimoli elettrici” (Marsella, Scorpecci, 2018). Gli stimoli elettrici vengono inviati al cervello da elettrodi che inviano il segnale direttamente al nervo acustico. A questo punto l’informazione viene processata a livello centrale dalle aree corticali dedicate.

L’impianto cocleare è però solo il punto di partenza, infatti l’intervento non dà la possibilità di sentire nello stesso modo in cui sentono gli udenti e implica necessariamente una terapia logopedica. Per una scelta consapevole fra le varie possibilità occorrerebbe che le famiglie fossero ben informate sulla base di informazioni scientifiche ed equilibrate e non sulla base di “quanto sentito in giro”, come ci mostra una ricerca di Mininni (1999) su un campione di 227 partecipanti sordi. In sintesi i due aspetti più ricorrenti in Italia emersi dalle interviste di Minnini sono: la scarsa informazione e le eccessive aspettative circa l’impianto cocleare. 

BIBLIOGRAFIA per queste prime domande ricorrenti:

Caselli M., Maragna S., Volterra V., Linguaggio e sordità. Gesti, segni e parole nello sviluppo e nell’educazione., Il Mulino, Bologna, 2006;

Fabbro F., Il cervello bilingue. Neurolinguistica e poliglossia, Casa Editrice Astrolabio, Roma, 1999;

Rinaldi P., Tomasuolo E., Resca A. (2018). La sordità infantile. Nuove prospettive d’intervento. Trento: Erikson;

Sempio O.L., Marchetti A., Lecciso F., Petrocchi S., Competenza sociale e affetti nel bambino sordo, Carocci, Roma, 2006;

Sorace A., Un cervello, due lingue: vantaggi linguistici e cognitivi del bilinguismo infantile,Università di Edimburgo.

 

La Lingua dei Segni non è una forma abbreviata o semplificata di italiano, una mimica, un qualche codice morse o braille, un semplice alfabeto manuale o un supporto all’espressione della lingua parlata, ma una vera e propria lingua con regole grammaticali, sintattiche, morfologiche e lessicali. Si è evoluta naturalmente, come tutte le lingue, con una struttura molto diversa dalle lingue vocali, e utilizza sia componenti cosiddette manuali (es. la “forma” che assume la mano, la posizione, il movimento) sia non-manuali, quali l’espressione facciale, la postura, ecc. Ha anche meccanismi di evoluzione e di variazione nello spazio (varianti di zona o dialetti a seconda del luogo), e rappresenta un importante strumento di trasmissione culturale. È una lingua che viaggia dunque sul canale visivo-gestuale, integro nelle persone sorde, e ciò consente loro pari opportunità di accesso alla comunicazione.

No, così come avviene per le lingue vocali ogni comunità ha la propria lingua dei segni: in Italia troviamo la Lingua dei Segni Italiana (LIS), negli USA l’American Sign Language (ASL), in Gran Bretagna il British Sign Language (BSL), etc., ciascuna con proprie specifiche varianti territoriali ed un forte legame con le rispettive culture di appartenenza. Due lingue dei segni possono però presentare somiglianze tra loro, come ad esempio per ragioni storico-educative la Langue des Signes Française e l’American Sign Language, anche se le lingue verbali in uso nelle comunità udenti di maggioranza sono geograficamente distanti e molto diverse fra loro.

L’alfabeto manuale, o dattilologia, è la rappresentazione manuale delle lettere utilizzate nella scrittura. Viene in genere utilizzato per “scrivere nello spazio” parole della lingua parlata o scritta, ad esempio per vocaboli stranieri, nomi (di città, di persone,…) o termini che non possiedono un corrispettivo in segni.

Sì, la LIS, come le altre lingue dei segni nel mondo, è una lingua ricca ed autonoma, con un lessico in costante evoluzione e regole che consentono di “segnare” qualsiasi argomento, dal più concreto al più astratto.

Perché è una modalità di comunicazione che viaggia sul canale visivo, mentre la lingua parlata sfrutta il canale uditivo. I sordi non sono fluenti spontaneamente in lingua parlata quanto gli udenti, però possono esserlo in Lingua dei Segni, in modo naturale e spontaneo, infatti, per molti sordi, la lingua parlata rimane sempre una lingua straniera o seconda lingua. La lingua dei segni consente al bambino sordo di sviluppare abilità linguistiche e intellettive prima dell’acquisizione della lingua parlata; inoltre consente all’adulto sordo di acquisire una maggiore consapevolezza della lingua vocale e dei valori della cultura di appartenenza. Per anni si è commesso l’errore di mettere in competizione ed antitesi la lingua parlata e la lingua dei segni. È fondamentale al contrario che al bambino sordo, ma anche all’adulto, siano rese accessibili tutte le opportunità comunicative e linguistiche funzionali alla sua crescita, educazione ed autonomia personale, in una prospettiva che promuova il bilinguismo: la valorizzazione cioè sia della lingua italiana che della lingua dei segni italiana. La LIS non “uccide la parola”, ma costituisce anzi una modalità linguistica di complemento estremamente preziosa proprio quale supporto didattico alla terapia logopedica ed all’insegnamento della lingua italiana al bambino sordo.

Il 19 maggio 2021 l’Italia ha colmato il grave ritardo che l’aveva portata ad essere uno degli ultimi Paesi in Europa a non aver riconosciuto la propria lingua dei segni nazionale. Siamo arrivati finalmente a questo risultato importantissimo, un segno di civiltà e una conquista non solo per le persone sorde, ma per tutta Italia,  dopo una lotta pluridecennale, speranze deluse, battaglie in tutte le sedi, campagne di sensibilizzazione, sit-in, petizioni, convegni, progetti e imponenti manifestazioni di piazza. In quel giorno, entrato di diritto nella storia della comunità sorda italiana, la Camera ha approvato il disegno di legge, già approvato dal Senato, di conversione in legge del cosiddetto Decreto Sostegni, che all’Articolo 34-ter. “riconosce, promuove e tutela la lingua dei segni italiana (LIS) e la lingua dei segni italiana tattile (LIST)”. L’articolo con le “Misure per il riconoscimento della lingua dei segni italiana e l’inclusione delle persone con disabilità uditiva”  riconosce, inoltre, le figure dell’interprete LIS e dell’interprete LIST quali professionisti specializzati nella traduzione e interpretazione rispettivamente della LIS e della LIST.

Per un bambino nato sordo o con una sordità acquisita nei primi anni di vita – in Italia sono uno su mille ogni anno – apprendere la lingua parlata/scritta è un processo complesso e che richiede anni di terapia logopedica, una precoce protesizzazione ed un lungo e faticoso percorso educativo, per il bimbo e per la sua famiglia. Infatti il non sentire i suoni, soprattutto le frequenze su cui viaggia il linguaggio parlato, impedisce l’acquisizione spontanea della lingua vocale, così come avviene nel bambino udente, che al contrario impara a parlare in modo naturale e spontaneo. Molti studi dimostrano che il successo scolastico è maggiore nei ragazzi sordi che acquisiscono la lingua dei segni come prima lingua. Per il bambino sordo infatti è fondamentale innanzitutto far propri gli strumenti della comunicazione, per garantire il suo sereno e completo sviluppo socio-affettivo e cognitivo. La lingua dei segni consente al bambino di acquisire rapidamente e naturalmente una lingua con cui comunicare con l’ambiente circostante, a partire dai genitori, ed uno strumento primario di apprendimento di contenuti. Inoltre, anche nel caso degli adulti il bilinguismo consente una maggiore e migliore inclusione nel mondo del lavoro, nella vita sociale e in generale contribuisce al benessere e alla sicurezza della persona. Per approfondire consigliamo “Lingua dei segni e impianto cocleare cooperano per un’educazione bilingue dei bambini sordi” di Maria Cristina Caselli e Pasquale Rinaldi. 

L’ENS ha tra i suoi scopi anche quello di diffondere la Lingua dei Segni e per questo organizza spesso corsi, tenuti da insegnanti sordi qualificati; per questo il modo migliore per apprendere la LIS è frequentare un corso tenuto all’interno dell’ENS. In particolare le attività formative si svolgono in quasi tutte le sedi ENS periferiche, quindi si può contattare direttamente la Sezione Provinciale ENS della propria città per ottenere le informazioni che possono fare al proprio caso.

L’Area Formazione ENS coordina e supervisiona a livello nazionale le attività formative che si svolgono in tutte le sedi ENS periferiche, ma si consiglia di mettersi in contatto direttamente con la Sezione Provinciale ENS della propria città per ottenere tutte le informazioni desiderate in merito ad eventuali attività formative organizzate a livello locale.

Il contatto email è “provincia”@ens.it“ -> esempio: torino@ens.it per la città di Torino.

In caso di ulteriori difficoltà si potrà contattare l’Area formazione all’indirizzo è formazione@ens.it.

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