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Diritto all'istruzione

Educazione delle persone sorde

Il bambino sordo: domande e risposte

Con la Legge 95/2006 art.1, figlia di una lunga battaglia politica e mobilitazione di piazza, la persona è definita sorda in tutte le disposizioni legislative vigenti facendo decadere il termine “sordomuto”.  La persona sorda, infatti, può imparare a parlare, in quanto l’apparato fonatorio è integro. 

La sordità è la riduzione più o meno grave dell’udito.

Dal punto di vista clinico si distinguono diversi gradi di sordità diversamente correlati alla possibilità di percepire i suoni linguistici e di sfruttare i residui acustici attraverso l’uso delle protesi. In base ad una convenzione stabilita dal Bureau International d’Audiophonologie si distinguono quattro gradi di sordità in base al grado di perdita uditiva espresso in decibel (db):

  • sordità lieve: con una perdita uditiva compresa fra 20 e 40 db;
  • sordità media: con una perdita uditiva compresa fra 40 e 70 db;
  • sordità grave: con una perdita uditiva compresa fra 70 e 90 db;
  • sordità profonda: con una perdita uditiva uguale o superiore a 90 db.

Ulteriori distinzioni vengono operate nell’ambito della sordità profonda:

  • 1° gruppo – sordità con curva pantonale che abbraccia tutte le frequenze fra i 125 e i 4000 Hertz all’intensità di 90 decibel;
  • 2° gruppo – sordità con curva dai 125 ai 2000 Hertz all’intensità uguale o maggiore di 90 decibel;
  • 3°gruppo – sordità con curva detta a virgola dai 125 ai 1000 Hertz a intensità maggiore di 90 decibel.

In generale si può affermare che una perdita uditiva oltre i 90 db impedisca, anche con l’ausilio delle protesi, una corretta percezione delle parole.

Le cause della sordità sono ancora oggi uno degli aspetti meno chiari della diagnosi: questa incertezza è determinata dalla varietà di fattori che possono causare la sordità. Le cause possono comunque essere distinte in due grandi aree:

  • le sordità congenite (insorte prima della nascita, cioè prenatali, o insorte dopo la nascita, ovvero postnatali, in quanto sordità genetiche progressive);
  • le sordità acquisite (insorte al momento della nascita, cioè perinatali o neonatali, oppure in seguito alla nascita, cioè postnatali).
  • Sordità prenatali:

ereditarie: non si manifestano necessariamente alla nascita, infatti, in alcuni casi, sono di natura progressiva, ovvero la perdita uditiva peggiora con il passare del tempo.

– acquisite: malformazioni congenite, malformazioni tossiche (farmaci, tossici endogeni), malformazioni endocrine -dismetaboliche (diabete, ipotiroidismo), malformazioni infettive (sifilide, toxoplasmosi, virali).

  • Sordità perinatali: traumi ostetrici, ittero, ipossia, prematurità, anossia.
  • Sordità postnatali: sordità ereditarie e genetiche progressive, traumi cranici, malattie infettive (otite media, meningite, encefalite, parotite, morbillo, toxoplasmosi), intossicazioni da farmaci, malattie dell’orecchio medio (perforazione della membrana timpanica, otosclerosi).

La percentuale di bambini che nascono sordi o lo diventano prima di sviluppare il linguaggio è 1/1000 e la sordità ereditaria sembra rappresentare circa il 50% dei casi, anche se all’interno di questa vanno distinti due gruppi: le sordità non sindromiche recessive, cioè non associate ad altre patologie (70% dei casi) e le sordità sindromiche legate a specifiche patologie di cui la perdita dell’udito è solo uno dei sintomi (30% dei casi).

Oltre al grado, alle cause e all’età in cui insorge la sordità, vi sono altri fattori che la rendono un fenomeno molto eterogeneo. Uno di questi è l’età della prima diagnosi: in Italia, fino a pochi anni fa, l’età media della prima diagnosi variava dai 19 ai 36 mesi. Oggi, grazie allo screening neonatale inserito dal 2017 nei LEA (livelli essenziali di assistenza), la maggior parte delle diagnosi, in tutta Italia, avvengono alla nascita. Il problema della diagnosi vale soprattutto per le famiglie udenti per le quali la sordità non è un evento atteso o prevedibile e che quindi può rimanere nascosto fino a quando non si manifestano i primi segnali di un ritardo linguistico. Sempre per queste famiglie si è vista inoltre l’importanza del modo in cui viene comunicata la notizia di sordità del figlio dal personale medico, se il bambino è primogenito o meno, la personalità dei genitori, l’unità di coppia e il sostegno della famiglia allargata.

Un altro fattore che rende la sordità un fenomeno eterogeneo è l’età della protesizzazione: le protesi sono dei dispositivi di amplificazione che consentono di sfruttare, in misura minore o maggiore a seconda del grado di sordità, i cosiddetti residui acustici nell’ambito di un processo educativo. Le protesi più moderne sono di tipo digitale ovvero possono essere regolate in modo più preciso, possono ridurre i rumori di fondo, offrono una maggiore fedeltà nella riproduzione del suono e hanno un microfono direzionale che diminuisce i fastidi dovuti a suoni troppo intensi perché aumenta la selettività spaziale dell’ascolto. Oggi si tende a protesizzare sin dai primi mesi di vita (4-6 mesi) perché il periodo di maggiore plasticità cerebrale è da 0 a 3 anni, con un picco intorno all’anno e mezzo. I residui sono utilizzabili per avere accesso alla lingua parlata quando la perdita uditiva non supera gli 85 db. Circa l’uso delle protesi nei casi di sordità profonda esistono posizioni teoriche contrastanti. La protesizzazione costituisce una tappa importante nella vita di una persona sorda e le sue implicazioni vanno ben al di là degli aspetti medici. Infatti, diversi fattori, tra cui quelli di tipo psicologico, contribuiscono al successo e all’insuccesso della protesizzazione.

Oltre alle protesi tradizionali c’è oggi anche la possibilità dell’impianto cocleare. “L’impianto cocleare è una protesi semi-impiantabile che sostituisce la funzione della coclea quando questa non è più sufficiente per una efficace amplificazione. Il processore svolge la funzione di codificare i suoni captati dall’ambiente esterno e di trasmetterli alla componente interna sotto forma di stimoli elettrici”. Gli stimoli elettrici vengono inviati al cervello da elettrodi che inviano il segnale direttamente al nervo acustico. A questo punto l’informazione viene processata a livello centrale dalle aree corticali dedicate.

L’impianto cocleare è però solo il punto di partenza, infatti l’intervento non dà la possibilità di sentire nello stesso modo in cui sentono gli udenti e implica necessariamente una terapia logopedica. Per una scelta consapevole fra le varie possibilità occorrerebbe che le famiglie fossero ben informate sulla base di informazioni scientifiche ed equilibrate e non sulla base di “quanto sentito in giro”, come ci mostra una ricerca di Mininni del 1999 su un campione di 227 partecipanti sordi. In sintesi i due aspetti più ricorrenti in Italia emersi dalle interviste di Minnini sono: la scarsa informazione e le eccessive aspettative circa l’impianto cocleare. 

Per un bambino nato sordo o con una sordità acquisita nei primi anni di vita – in Italia sono uno su mille ogni anno– apprendere la lingua parlata/scritta è un processo complesso e che richiede anni di terapia logopedica, una precoce protesizzazione ed un lungo e faticoso percorso educativo, per il bimbo e per la sua famiglia. Infatti il non sentire i suoni, soprattutto le frequenze su cui viaggia il linguaggio parlato, impedisce l’acquisizione spontanea della lingua vocale, così come avviene nel bambino udente, che al contrario impara a parlare in modo naturale e spontaneo. Molti studi dimostrano che il successo scolastico è maggiore nei ragazzi sordi che acquisiscono la lingua dei segni come prima lingua. Per il bambino sordo, infatti, è fondamentale innanzitutto far propri gli strumenti della comunicazione, per garantire il suo sereno e completo sviluppo socio-affettivo e cognitivo. La lingua dei segni consente al bambino di acquisire rapidamente e naturalmente una lingua con cui comunicare con l’ambiente circostante, a partire dai genitori, ed uno strumento primario di apprendimento di contenuti.

Per anni si è commesso l’errore di mettere in competizione ed antitesi la lingua parlata e la lingua dei segni. È fondamentale, al contrario, che al bambino sordo – ed all’adulto – siano rese accessibili tutte le opportunità comunicative e linguistiche funzionali alla sua crescita, educazione ed autonomia personale, in una prospettiva che promuova il bilinguismo: lingua parlata/scritta e lingua dei segni. La LIS non “uccide la parola”, ma costituisce anzi una modalità linguistica di complemento estremamente preziosa proprio quale supporto didattico alla terapia logopedica ed all’insegnamento della lingua parlata/scritta al bambino sordo.

Il bilinguismo rappresenta una preziosa opportunità per il/la bambino/a sordo/a, la famiglia e la società intera e una sfida a cui sono chiamate tutte le agenzie educative.

CLICCA qui per approfondire

Caselli M., Maragna S., Volterra V., Linguaggio e sordità. Gesti, segni e parole nello sviluppo e nell’educazione., Il Mulino, Bologna, 2006;

Fabbro F., Il cervello bilingue. Neurolinguistica e poliglossia, Casa Editrice Astrolabio, Roma, 1999;

Rinaldi P., Tomasuolo E., Resca A. (2018). La sordità infantile. Nuove prospettive d’intervento. Trento: Erikson;

Sempio O.L., Marchetti A., Lecciso F., Petrocchi S., Competenza sociale e affetti nel bambino sordo, Carocci, Roma, 2006;

Sorace A., Un cervello, due lingue: vantaggi linguistici e cognitivi del bilinguismo infantile, Università di Edimburgo 

Favia M. L., Maragna S., Una scuola oltre le parole. Manuale per l’istruzione dei sordi. La nuova Italia, Scandicci, 1995.

Apprendimento e linguaggio nel bambino sordo e nel bambino udente

“Normalmente ogni bambino può acquisire nella sua infanzia qualsiasi lingua, a meno che non abbia problemi foniatrici, neurologici o di apprendimento. È molto importante, tuttavia, non confondere una lingua con la comunicazione in generale. I ricercatori linguistici hanno precisato che ogni lingua umana è uno strumento di comunicazione doppiamente articolato e di carattere vocale. Tutte le lingue umane utilizzano fondamentalmente il canale vocale-uditivo, prima di tutto esse si parlano e si comprendono perché un parlante produce suoni particolari che vengono percepiti dall’orecchio dell’ascoltatore. La doppia articolazione è quella che le lingue utilizzano anche altre modalità di comunicazione, come ad esempio la scrittura o il linguaggio gestuale. I due piani fondamentali di tutte le lingue umane sono le parole, lingue formate da unità linguistiche dotate di significato che possono combinarsi fra loro per formare un numero quasi infinito di frasi, e i fonemi; ogni lingua ha un numero limitato di suoni che possono combinarsi fra loro permettendo di formare tutte le parole di una data lingua ” .

Soltanto nella specie umana sembrano essersi sviluppate, nel corso dell’evoluzione, le basi neurologiche che rendono possibile un’acquisizione spontanea delle lingue. Il bambino ha un ruolo attivo nel processo di apprendimento del linguaggio, portando come suo contributo una serie di potenzialità e di modi di analisi e di elaborazione degli elementi linguistici: affinché il bambino possa esprimere le sue potenzialità, però, occorre creare intorno a lui un ambiente linguistico adeguato. L’acquisizione del linguaggio procede per fasi che si succedono in un determinato ordine e che vengono condivise dalla maggior parte dei bambini; non bisogna comunque sottovalutare che tale successione è caratterizzata da fortissime variazioni individuali che riguardano non solo i tempi, ma anche i modi e le strategie di apprendimento.

I bambini sordi esposti fin dalla nascita alla LIS percorrono esattamente le stesse tappe evolutive di acquisizione del linguaggio, e negli stessi tempi, dei bambini udenti che acquisiscono la lingua vocale.

Comunicazione ed educazione del bambino sordo in Italia

La conformazione dell’apparato vocale di un neonato è tale da non permettere di parlare. Il bambino è capace solo di piangere, strepitare, sbavare, starnutire, tossire. A sei mesi il bambino inizia a controllare volontariamente alcuni suoni. Iniziano le lallazioni ( MA-MA-MA; DA-DA-DA). In seguito le lallazioni diminuiscono e il bambino inizia sempre più a controllare il tono vocale. Ad un anno il bambino udente imita gli adulti udenti ed è a questo punto che la differenza tra lo sviluppo di un bambino udente e lo sviluppo di un bambino sordo diventa tangibile. Iniziano, per il bambino sordo, le prime difficoltà nell’apprendimento del linguaggio vocale.

Chi nasce sordo o perde l’udito entro i due anni di vita non riesce ad imparare la lingua parlata come il coetaneo udente perciò diventa, come si suole dire “sordomuto”. Questa parola ha creato una serie di equivoci in quanto ha portato l’immaginario collettivo a credere che chi fosse sordo di conseguenza dovesse essere anche privo di parola e quindi “muto”.

In realtà così non è. Salvo rare eccezioni, l’apparato fono-articolatorio dei bambini che nascono sordi è integro così come è integra la loro “facoltà di linguaggio”, che a causa della sordità non può entrare in funzione così facilmente come avviene nei bambini udenti. La facoltà di linguaggio è quella facoltà che permette ad ogni bambino di imparare una lingua a patto di essere esposto ad essa. Essere esposti ad una lingua significa percepire e comunicare con l’ambiente circostante in quella lingua.

Scuola

La difficoltà nell’affrontare un’educazione bilingue bimodale consiste proprio nel trasferire quanto si osserva in contesti naturali in campo didattico. Secondo il principio “una persona, una lingua” (Taeschner, 1985), infatti, gli insegnanti non solo devono comunicare soltanto attraverso la lingua straniera, ma anche “far finta” di non capire nessuna altra lingua. In altri termini il metodo utilizzato dovrà stimolare il bambino ad usare concretamente la lingua in base ad una necessità comunicativa determinata da precise condizioni contestuali. I contenuti che verranno proposti dovranno essere adatti al suo livello di sviluppo psichico e linguistico, legati alle sue esperienze di vita e perciò comprensibili e divertenti. Apprendere un’altra lingua può essere semplicemente un gioco come tanti altri, a patto che il metodo scelto per l’insegnamento sia adatto alle capacità del bambino. Il gioco simbolico è una delle attività più importanti nella formazione del pensiero e nello sviluppo del linguaggio, rappresenta proprio la possibilità di vivere questo tipo di esperienza. Attraverso il gioco del “far finta.” i bambini simulano una situazione immaginaria che, una volta ideata, crea una realtà da sperimentare, in cui essi agiscono ed interagiscono fra loro. Proprio perché parte dal loro vissuto e dal loro sistema di conoscenze, il gioco della simulazione diventa allora uno strumento ideale per fornire ai bambini un contesto adeguato per l’azione e l’interazione in una lingua straniera.”

Lo studente sordo

Le sordità possono comportare disturbi nel linguaggio verbale con ricadute sugli apprendimenti scolastici, legate alla limitata competenza linguistica nell’italiano parlato e scritto. L’esperienza è fondata sull’obiettivo di consentire agli alunni con sordità e con limitata competenza linguistica nella lingua italiana verbale e scritta un progressivo cammino per accedere ai contenuti direttamente dal testo scritto e senza la mediazione degli operatori scolastici.

Gli alunni sordi, a seconda del grado scolastico e delle caratteristiche individuali, possono incontrare molte difficoltà a livello scolastico. Una didattica visiva e specializzata, nonché insegnanti preparate e competenti, possono notevolmente ridurre gli ostacoli che gli studenti sordi incontrano sul loro cammino.

Figure professionali

Professionista tecnico dell’insegnamento disciplinare, che opera in un’organizzazione di servizio pubblico che produce “pacchetti formativi” dotata di autonomia. Essere insegnante è un partecipare al processo di integrazione di tutti gli alunni anche di quelli certificati, definiti un tempo “portatori di handicap”, “handicappati”, ora alunni in situazione di handicap e disabili. Gli insegnanti curriculari “Hanno la responsabilità del progetto educativo e formativo degli allievi, l’assistente della comunicazione collabora e concerta con la loro pianificazione delle lezioni, mediante strategie di visualizzazione dei contenuti.

È un ruolo molto importante per gli alunni disabili la quale prepara e adatta visivamente il materiale didattico per l’alunno sordo; in alcuni ancora avviene che le due figure (insegnante curriculare e di sostegno) siano presenti in classe in momenti diversi, coprendo così un monte-ore più ampio. Le diverse scelte dipendono in gran parte dalla capacità delle persone di lavorare in equipe e di sfruttare al massimo le competenze professionali di ogni figura. Nonostante questa figura si stia diffondendo in tutta Italia a macchia d’olio, tuttavia manca ancora un profilo professionale, perché la legge 104/92 si limita a prevederne la presenza, senza dare indicazioni precise né sui requisiti né sull’inquadramento giuridico ed economico. Quella del docente di sostegno è la figura professionale più recente in ordine di tempo della scuola italiana. “Nasce” nel 1977 con l’integrazione scolastica degli alunni “portatori di handicap” di cui rappresentava, secondo le intenzioni del legislatore, una tra le risorse principali “al fine di agevolare l’attuazione del diritto allo studio e la piena formazione della personalità degli alunni”, tutti, anche di quelli con deficit sensoriali. La preparazione degli insegnanti, che allora era quasi esclusivamente incentrata sulla conoscenza dei contenuti disciplinari, da sola non appariva sufficiente a garantire i diritti degli alunni con deficit; era necessaria una preparazione specifica che venne affidata ai corsi biennali di specializzazione, per certi aspetti anticipando di quasi trent’anni l’istruzione delle scuole di specializzazione per tutti gli insegnanti.

È consigliabile che l’insegnante di sostegno conosca la Lingua dei Segni, la cultura sorda e la comunità sorda per facilitare la comunicazione soprattutto ai bambini sordi e collaborare con l’Assistente alla comunicazione e l’Educatore con lo scopo di ottenere un migliore percorso educativo per bambini sordi.

 

Il profilo professionale dell’educatore sordo è molto importante per un bambino sordo, la sua presenza all’interno di una classe si pone agli insegnanti una serie di interrogativi sul lavoro di questo operatore per quel che riguarda il suo ruolo e le sue competenze, rispetto all’insegnante curriculare e di sostegno. L’educatore educa la lingua della comunicazione al bambino sordo, ai bambini udenti ed agli insegnanti alla la quale si educa ad un modo diverso di comunicare e vivere la realtà.

Ha il compito di “facilitare e mediare la comunicazione” tra il bambino sordo, i docenti e i compagni di classe; pertanto egli non deve porsi come un insegnante, ma affiancare il docente che conduce la classe in quel momento. E’ però altrettanto vero che le competenze e i ruoli non possono sempre essere rigidamente circoscritti perchè̀ poi la realtà è differente. Pensiamo ad esempio a un contesto di scuola elementare in cui la maestra curricolare chiede ai bambini di eseguire un compito e l’assistente alla comunicazione deve spiegare in segni cosa si deve fare; ma poi essendo la classe numerosa finisce col seguire il bambino anche nell’esecuzione del compito e di fatto fa l’insegnante.

Un’assistente alla comunicazione può essere non segnante, che lavora per i bambini che non conoscono la lingua dei segni e apprendono con il metodo oralista.

È come l’interprete della lingua dei segni/lingua vocale, ma ha un ruolo particolare e il compito è di interpretare la lingua dei segni italiana e la lingua italiana soltanto nell’ambito scolastico con competenze linguistiche e sociali diverse da quelle esterne. La modalità comunicativa e l’approccio sono seguiti soltanto nella situazione scolastica, che comporta una specie di elasticità nell’avvicinamento alle esigenze educative della scuola.

Il profilo professionale del docente LIS e la sua “definizione” di docente non è ancora regolata dalla Costituzione Italiana, ma all’interno dei singoli enti che attivano questo insegnamento è presente un regolamento proprio.

Equipe

La presenza in classe di uno studente sordo richiama la necessità di una frequente interazione, e intensa collaborazione tra famiglia, operatore sanitario, (es. logopedista), assistente alla comunicazione e docenti curriculari e di sostegno, rispetto all’insegnamento di ogni disciplina, così come rispetto alle scelte organizzative inerenti l’esperienza scolastica, extrascolastica e familiare.

La progettazione di ogni unità didattica dovrebbe essere concordata preventivamente tra docenti, e l’equipe medico-psico-pedagogia dovrebbe seguire un preciso itinerario:

  • tenere in considerazione le conoscenze culturali e la competenza linguistica specifica dello studente sordo, rispetto all’argomento;
  • evidenziare il glossario di nuovi termini che arricchiranno il patrimonio lessicale del bambino;
  • anticipare per il bambino sordo, da parte dell’insegnante di sostegno, ogni volta sia possibile, gli argomenti che verranno trattati in classe per tutti; la conoscenza preventiva è molto importante per favorire l’attenzione e la partecipazione alla vita di classe, e consentire il rafforzamento delle conoscenze già possedute;
  • spiegare l’argomento o il testo impiegando tutte le possibili modalità comunicative e strumentali (verbale, gestuale attraverso la lingua dei segni, grafico-visiva, multimediale);
  • adattare il testo alle capacità di comprensione dell’allievo: il brano può essere ricompattato e integrato con immagini o altre informazioni, oppure ridotto, o schematizzato e ristrutturato, oppure possono essere evidenziati i concetti chiave;
  • far leggere il testo, eventualmente semplificato, evidenziando i concetti e i significati nuovi o complessi.

Università

Sono ormai i tanti i giovani sordi che riescono a raggiungere i massimi livelli di formazione. Basta andare poco indietro nel tempo per vedere che il numero di studenti con disabilità uditive iscritti all’università era prossimo allo zero, mentre oggi il numero è molto maggiore. Tanti di questi studenti arrivano da un percorso formativo aiutati da sussidi innovativi (non più solo insegnante di sostegno o assistenza alla comunicazione, ma anche sistemi tecnologicamente avanzati come impianti FM, aule insonorizzate, lavagne interattive etc etc), e vanno a scontrarsi con un mondo, quello universitario, dove questi sussidi spesso non sono disponibili o, comunque, non sono sufficienti per l’apprendimento della lezione. 

Ma facciamo un piccolo passo indietro. Dal punto di vista normativo la piena integrazione degli studenti disabili – e quindi anche dei sordi – nelle università è garantito dalla L. 17/99. La legge è l’estensione anche all’ambito universitario del principio di integrazione sociale che impronta la legge 104 e fra le altre cose prevede l’istituzione di “appositi servizi di tutorato specializzato”. Nella sostanza, impone agli atenei di fornire un supporto specializzato agli studenti tra cui ad es. sportelli per disabili nelle università, con il compito di accogliere le istanze e predisporre progetti di inclusione per le le persone handicappate e garantire loro la possibilità di seguire agevolmente le lezioni. Naturalmente come spesso accade sui servizi di nuova istituzione, le procedure e il controllo della qualità sono ancora approssimative e quindi i servizi sono erogati in modo disomogeneo nel territorio nazionale.

Supporto e consulenza orientativa

I servizi offerti da ciascun Ateneo sono illustrati nei siti delle università italiane. A volte, purtroppo , il personale addetto all’ufficio disabilità non è in grado di fornire informazioni adeguate agli studenti sordi, occorre quindi porre attenzione ad una costante opera di formazione e sensibilizzazione del personale degli atenei.

I servizi per la inclusione degli studenti con disabilità e DSA fanno riferimento alle indicazioni di cui a:

  • Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate (Legge n.104/92)
  • Integrazione e modifica della legge-quadro 104/92 (Legge n.17/99)
  • Linee guida Conferenza Nazionale Universitaria Delegati per la Disabilità (CNUDD)
  • Legge 170/10 per i servizi di supporto agli studenti con DSA

Per gli studenti e le studentesse universitarie con disabilità è previsto il raggiungimento degli obiettivi di apprendimento indicati nel proprio Corso di Studi, potendo usufruire di supporti riconosciuti per legge nell’ambito universitario.

Ogni università italiana ha un ufficio studenti con disabilità e DSA che accoglie gli studenti.

È necessario presentare la certificazione di disabilità/invalidità per la fruizione di supporti durante l’intero percorso di studi e anche durante lo svolgimento di eventuali TEST D’INGRESSO/TARM e di ottenimento del diritto allo studio.

Affermare che uno dei compiti del servizio rivolto a studenti sordi sia quello di dare informazioni potrebbe sembrare quasi banale, ma in effetti non lo è. La sordità è infatti una disabilità di carattere comunicativo, consistente cioè negli ostacoli che incontra il flusso informativo quando esso transita su di un soggetto privo di udito. Alcuni episodi registrati in passato, riguardanti in particolare due studentesse che avevano sempre pagato le tasse universitarie pur potendo fruire dell’esonero, confermano la difficoltà dei sordi ad attingere autonomamente le informazioni e la necessità di prestare estrema attenzione a questo aspetto. Una delle funzioni preliminari su cui gli Atenei dovrebbero prestare attenzione consiste proprio in una efficace azione di comunicazione al fine, tra l’altro, di fornire agli studenti sordi una mappa dei servizi che l’università offre loro, e successivamente nell’assisterli nella fase di iscrizione, di consegna dei piani di studio, di compilazione e di presentazione delle domande volte a ottenere benefici e ausili.

I più importanti benefici e servizi che le Università italiane mettono a disposizione degli studenti sordi sono i seguenti:

  • esonero totale dalla tassa d’iscrizione: è necessario possedere un’invalidità riconosciuta superiore al 66%;
  • contributi per l’acquisto di ausili didattici;
  • servizio di interpretariato LIS;
  • servizi di sottotitolazione;
  • servizi di videoregistrazione delle lezioni;
  • servizio di tutorato specializzato/a alla pari;
  • servizio prendi appunti;
  • servizio trascrizione testi od appunti;
  • borsa di studio: l’assegnazione dipende dalla situazione economica familiare;
  • posto alloggio;
  • interventi di mediazione con i docenti in vista degli esami;
  • utilizzo della sala studio.

Figure professionali, servizi e diritti

I servizi degli atenei devono svolgere una puntuale attività di sensibilizzazione e mediazione con il docente affinché allo studente sordo SIA GARANTITO il diritto di fruire dei primi banchi.senza dover essere costretto di reclamare esplicitamente tale diritto verso il professore ed i colleghi. Inoltre, spesso, nelle copisterie universitarie vendono gli appunti sbobinati di quella materia, relativa all’anno precedente. Non saranno esattamente le stesse cose, ma sono una ottima base per capire in anticipo di che cosa si parlerà

In alcuni atenei sono disponibili servizi di videoregistrazione delle lezioni che permetto agli studenti di rivedere a casa la lezione anche compresa di sottotitolazione, ovviamente di norma questi servizi non sono assicurati per tutte le lezioni e vanno esplicitamente richiesti.

In assenza della videoregistrazione è buona norma registrare la lezione su audiocassetta e, con l’aiuto di qualcuno (genitore o tutor), sbobinarla a casa.

In molti atenei è prevista questa figura che richiama la figura dell’insegnante di sostegno, di norma non prevista all’interno dell’università. Qui si parla di persone – spesso compagni di corso o volontari che prestano servizio civile, e retribuite dallo sportello per disabili dell’università – che prestano appunti, forniscono un sussidio, ma in nessun modo integrano o sostituiscono il docente universitario. E il fatto che siano compagni di corso spesso è positivo, perché sono “dentro” l’argomento e lo stanno studiando anche loro. Si tratta, il più delle volte, di una “istituzionalizzazione” del fatto che c’è un compagno in grado di prestarti appunti regolarmente e ben fatti. Il vantaggio è che puoi “sceglierti” e retribuire lo studente bravo per passarti i suoi appunti…

La opportunità di avvalersi di questo tipo di supporto non sempre è condiviso dagli atenei, alcuni infatti sostengono che esso lede lo sviluppo di una competenza alla autonomia da parte dello studente.

Comunque, dove prevista, è una figura che supporta agli studenti con disabilità o con disturbi specifici di apprendimento (DSA) il cui scopo è ridurre o eliminare gli ostacoli per garantire un adeguato inserimento nell’ambiente universitario (accompagnamento a lezione, recupero di appunti, intermediazione con i docenti, affiancamento allo studio, prenotazione dei posti a lezione, disbrigo pratiche amministrative e di segreteria e altro).

Il servizio di tutorato specializzato tra pari è svolto da studentesse e studenti senior selezionati, opportunamente formati e coordinati dai/dalle referenti del Servizio Disabilità e DSA di Ateneo.

L’interprete della Lingua dei Segni Italiana (LIS) è una figura rivolta a studenti/esse con disabilità uditiva.

Il servizio ha l’obiettivo di mediare le due lingue (LIS e Lingua Italiana) e la comunicazione con docenti, compagni di corso, referenti e tutor didattici dell’Ufficio Studenti con Disabilità e DSA, personale tecnico-amministrativo delle Scuole/Dipartimenti. Inoltre è esperto nel linguaggio dei segni e nel metodo bimodale e oralista, applicando l’una o l’altra metodica in base alle richieste dello studente che ne è destinatario.

Può essere svolto: in aula, in compresenza con il/la docente, per agevolare la trasmissione dei contenuti didattici e le verifiche di apprendimento, ai fini del successo formativo degli studenti/ sse destinatari dell’assistenza e per favorirne la socializzazione e l’integrazione universitaria in sede di programmazione delle diverse attività con l’Ufficio in sede di preparazione degli esami durante le prove d’esame.

Qui si apre un nuovo mondo, e molto interessante. Per sottotitolazione si intende la trascrizione, in tempo reale, dell’audio del docente in sottotitolo. Ci sono varie soluzioni – e vari costi – per la realizzazione di questa tecnica, che ha un grandissimo vantaggio: è usufruibile da tutti, non solo dagli studenti sordi, ma anche dagli altri studenti, assenti alle lezioni per malattia, ma anche semplicemente distratti.
Ma quali sono le soluzioni possibili per la sottotitolazione dei corsi universitari?

  • Stenotipia: un operatore ascolta il docente e trascrive su un supporto quello che dice.
  • Sottotitolazione in differita con riconoscimento vocale (respeaking): partendo dalla lezione live o dalle videoregistrazioni è possibile ottenere lezioni sottotitolate partendo da un riconoscimento vocale direttamente dall’audio. Chiaramente ci sono alcuni parametri che influenzano la qualità del risultato, e i più importanti sono la qualità del suono (non ci devono essere rumori disturbanti) e la qualità del parlato (lo strumento deve essere “tarato” sul parlato del docente, che deve comunque parlare in maniera scandita e regolare). Nel caso che la sottotitolazione automatica non sia di buona qualità è possibile ovviare attraverso il riconoscimento vocale del parlato di un operatore,per l’appunto il respeaking. Chiaramente, qualunque sia il tipo di sottotitolazione, se scrive su computer è possibile, tramite rete internet, far arrivare il testo in tempo reale al computer dello studente con disabilità uditiva, o anche proiettare il testo su uno schermo dell’aula universitaria.

Un modo per abbattere i costi potrebbe essere quello di assumere, in pianta stabile all’interno delle università, un respeaker, senza necessariamente doverlo fare venire dall’esterno.

Famiglia

La nascita di un bambino sordo è un evento traumatico per la famiglia udente che, a differenza di quella sorda, non è minimamente preparata ad un’evenienza del genere. Le prime esperienze dei genitori di un bambino sordo sono facilmente prevedibili e quasi universali. La sordità viene raramente presa in considerazione dai genitori o dal pediatra a causa della bassa incidenza statistica e dalla scarsa sintomatologia quando il bambino è piccolo. Dopo la conferma della diagnosi, le reazioni dei genitori sembrano di seguire diverse fasi:

  • reazione di disperazione;
  • stato di shock;
  • ammissione;
  • rifiuto;
  • presa di coscienza;
  • azione costruttiva.

All’inizio i genitori sono inconsapevoli di qualsiasi possibile “difetto” nel loro bambino. In seguito, comunicano a sospettare vagamente che qualcosa non funzioni. Finché a un certo punto diventa impossibile ignorare la realtà e cominciano a mettere alla prova di nascosto il bambino. Dopo aver consultato il pediatra, i genitori arrivano in un centro audiologico, dove la diagnosi di sordità viene definitivamente confermata. E’ solo quando si rendono conto che il bambino è sordo e tale rimarrà, i genitori incominciano a mostrare segni di disperazione. Successivamente si attraversa la fase dell’ammissione, durante la quale i genitori cominciano a rendersi conto della terribile gravità della situazione e a recepirla emotivamente. A questo punto ha inizio per i genitori una reazione di disperazione violenta, che comporta l’emergere di sentimenti molto intensi. Una delle sensazioni dominanti è quella di sentirsi totalmente sopraffatti e inadeguati al compito di allevare il loro bambino che presenta un deficit così importante. Quando poi si trovano di fronte ad un figlio che ha esigenze particolari da soddisfare, essi si sentono ancora più sopraffatti ed inadeguati a svolgere il compito genitoriale.

Un’altra reazione frequente dei genitori è totale confusione; è facile infatti che gli specialisti dimentichino quanto è ermetica la loro terminologia professionale. Quasi sempre i genitori non hanno nessun bagaglio di nozioni sulla sordità, sull’educazione e sulla vita sociale di una persona sorda, perciò non possono valutare la qualità delle informazioni che ricevono dagli specialistici, parenti e amici; il risultato è la confusione totale che spesso sfocia in una reazione quasi di panico.

Infine la rabbia viene interiorizzata dai genitori: questo stadio si manifesta con uno stato depressivo. Oltre al sentimento di impotenza e di frustrazione vengono assaliti dal senso di colpa, specialmente nella madre, che ha avuto la responsabilità di portare nel grembo il bambino durante la gravidanza, ed hanno bisogno di scoprire la “causa” e di stabilire chi ha la “colpa” della minorazione del figlio. 

Dopo lo stadio di disperazione attiva, i genitori passano attraverso una fase di chiusura difensiva o di rifiuto. Questa reazione è in realtà un meccanismo di protezione per ridurre l’estrema tensione raggiunta durante lo stadio di ammissione. Il rifiuto può esprimersi in vari modi, uno di questi è l’illusione volontaria da parte del genitre che la malattia del proprio figlio sia solo un incubo da cui si sveglierà presto o che ci sia un rimedio. Il rifiuto deve essere trattato sia dai genitori che dallo specialista come uno stadio normale della fase di disperazione. E’ anche vero che i genitori possono bloccarsi allo stadio del rifiuto tanto da non riuscire ad elaborare un efficace programma riabilitativo e conseguentemente ciò comporta gravi ripercussioni sul suo sviluppo psico-fisico tanto da impedirne un buon inserimento sociale. La fase finale del processo di disperazione è l’azione costruttiva o adattamento. In questa fase carica di ansia ma anche di energia, i genitori ristrutturano il loro sistema di vita e riesaminano la loro scala di valori. Gran parte di questo stadio è altamente positivo. Si nota tra i genitori di bambini sordi la necessità di confessare pubblicamente la loro condizione. Nel rapporto di consulenza con lo specialista prima, poi nelle riunioni di gruppo con altri genitori e infine in situazioni della vita di tutti i giorni, i genitori incominciano poco a poco a parlare liberamente ed apertamente della sordità del loro bambino, escono in un certo senso dalla “clausura” e prendono coscienza della loro condizione di genitori di un bambino disabile.

Figure professionali

Professionista che studia i processi mentali e cognitivi, consci e inconsci, degli esseri umani, secondo diversi orientamenti teorici e metodologici. Può utilizzare le sue competenze in molti ambiti diversi, in questo caso, educativo, nell’orientamento scolastico e professionale. C’è poca differenza tra lo psicologo

sordo e lo psicologo udente, l’importante è con il paziente sordo si lavori utilizzando e condividendo uno stesso linguaggio. Il paziente sordo può avere più facilità ad identificarsi nte con lo psicologo sordo. é fondamentale che anche gli psicologi udenti utilizzino bene la Lingua dei Segni nel momento in cui lavorano con pazienti sordi segnanti.

 

Medico specializzato nella prevenzione e cura delle anomalie dello sviluppo del bambino e dell’adolescente. Egli lavora solitamente presso le Asl (Aziende Sanitarie Locali) dove svolge prevalentemente un lavoro clinico che lo porta a diretto contatto con i pazienti.

Elabora, anche in equipe multidisciplinari, il bilancio logopedico volto all’individuazione e al superamento del bisogno di salute del disabile. Pratica autonomamente attività terapeutiche per la rieducazione funzionale delle disabilità comunicative e cognitive, utilizzando terapie logopediche di abilitazione e riabilitazione della comunicazione e del linguaggio, verbali e non verbali. Propone l’adozione di protesi ed ausili, ne addestra all’uso e ne verifica l’efficacia. Svolge attività di studio, didattica e consulenza professionale, nei servizi sanitari ed in quelli dove si richiedono le sue competenze professionali. Verifica le rispondenze della metodologia riabilitativa attuata agli obiettivi di recupero funzionale.

L’educatore sordo è, per il bambino sordo, un supporto indispensabile per la costruzione della propria identità e agisce come uno specchio nel quale il bambino sordo vede riflesso il proprio futuro come individuo adulto realizzato. Si tratta di un modello guida nei riguardi del quale il bambino si pone a confronto per costruire la propria personalità. Stimolare il confronto, lo scambio di conoscenze e la condivisione di esperienze per far superare al bambino l’equivoco di sentirsi “sordo unico al mondo e per questo solo”

L’animatore attiva processi di promozione della partecipazione sociale e di sviluppo delle potenzialità delle persone, dei gruppi e delle comunità territoriali, operando prevalentemente nelle situazioni di disagio e di emarginazione delle fasce più deboli, con problemi di autonomia e di socializzazione. In particolare, promuove i processi di attivazione del potenziale ludico, culturale, espressivo, relazionale ed educativo. Capacità di operare nei settori dell’educazione extrascolastica sia in progetti e servizi che integrano in continuità l’azione della scuola, sia in attività che aprono orizzonti all’azione educativa valorizzandone potenzialità di prevenzione del disagio e sulla base di progetti (individualizzati o di comunità) predisposti dagli operatori di riferimento, la partecipazione e l’aggregazione sociale degli utenti.

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